ROBERTO FRANCI

“Si può dire senz’altro che Roberto abbia respirato il profumo del miele fin dalla nascita. Infatti suo padre Guido, stabilitosi con la famiglia in via Donnoli, proseguì quello che pareva un timido esperimento iniziato poco tempo prima, suggerito dall’interesse per quegli straordinari insetti e le loro insolite capacità. Partito con un unico sciame, al quale se ne erano aggiunti rapidamente altri, il genitore aveva intrapreso la nuova attività con soddisfazioni sempre maggiori e risultati incoraggianti all’interno del piccolo garage preso in affitto.

Così Roberto si trovò fin da bambino a dover prendere familiarità con le api ed imparò presto a non temerle e, se ancora non proprio ad amarle, almeno a rispettarle. Come sempre avviene in questi casi, il suo tirocinio fu portato a termine come un vero e proprio gioco e la sua dimestichezza con le attrezzature apistiche fu conquistata gradualmente, senza averne una piena coscienza. A forza di gironzolare attorno a suo padre quando questi era al lavoro, imparò a poco a poco tutti i segreti, i trucchi e gli accorgimenti necessari in un mestiere che certamente avrà giudicato al pari di un altro qualunque.

Invece non era affatto così. Anche oggi che esistono, in senso assoluto, molti apicoltori e che sul loro lavoro prosperano un certo tipo di industria e una nutrita schiera di artigiani, quella dell’apicoltore non può certo dirsi una delle professioni più facili e consuete. E tanto meno lo era all’inizio degli anni ’50, quando Guido Franci eseguiva le prime «smielature» sotto lo sguardo attento di suo figlio Roberto e si doveva costruire da solo tanta parte dell’attrezzatura che gli occorreva.

Dopo due successivi traslochi la famiglia Franci era approdata in Santa Croce, nel piazzale della Fortezza, dove lo spazio a disposizione per il suo lavoro era molto più ampio. Le cose cominciarono ad andare sempre meglio e nella piccola azienda prese a lavorare anche Giuseppe Tassi, genero di Guido.

Mentre gli sciami crescevano di numero e la pur aumentata produzione non riusciva a soddisfare la domanda dei numerosi clienti, Roberto terminava la scuola dell’obbligo e più tardi si diplomava in ragioneria, dividendo il tempo libero tra l’aiuto a suo padre e la passione per il tiro con l’arco.

Poi si iscrisse alla Facoltà di Scienze Economiche e Bancarie dell’Università di Siena con un entusiasmo smorzato solo dalla consapevolezza – rivelatasi fondata – che la laurea sarebbe stata per lui molto più lontana dei previsti quattro anni e che il suo raggiungimento gli avrebbe richiesto uno sforzo notevole. Infatti, per mettere a frutto il diploma appena conseguito, iniziò subito ad occuparsi dell’amministrazione dell’azienda di famiglia, mentre le ore da dedicare allo studio calavano in continuazione, fino al punto di venire ingoiate del tutto dall’attività lavorativa.

In tal modo Roberto si abituò quasi subito all’idea di essere un perpetuo fuori corso all’università e si immerse nel ruolo dell’apicoltore a tempo pieno. Qualche anno dopo aveva praticamente in mano, cedutegli volentieri da suo padre, anche le redini dell’intera azienda che, intanto, aveva raggiunto prosperità e dimensioni fino allora impensate.

Ogni giorno a contatto con i problemi della sua categoria, Roberto cominciò ad avvertirne come necessario e improcrastinabile il rafforzamento all’interno di una cornice legislativa che la tutelasse maggiormente. Ben poco – e spesso male – si era legiferato in materia e gli apicoltori si sentivano giustamente trascurati dagli organi amministrativi e politici di ogni livello.

Roberto, battagliero e coriaceo com’era, iniziò ben presto una sua personale campagna di sensibilizzazione presso Comuni, Provincia e Regione.

Fu preso da una sorta di frenesia che sfociò in un movimentismo esasperato e perfettamente in linea con il suo carattere. Si profuse in un attivismo incredibile, in una girandola continua di viaggi, spostamenti, colloqui, assemblee, riunioni. Senza dire delle centinaia di telefonate, delle decine e decine di lettere, delle richieste, domande, avvertimenti e spiegazioni che senti il dovere di porgere a chiunque potesse in qualche modo favorire la sua causa. Non era né un crociato né un missionario, ma più semplicemente una persona che aveva iniziato ad amare il proprio lavoro e che intendeva eliminare quanti più ostacoli gli era possibile tra quelli che lo mortificavano. Assessori, sindaci, presidenti ed onorevoli furono ostinatamente assediati dalla cocciuta determinazione di Roberto e a poco servivano con lui la ben nota ambiguità dei politici, la diplomazia dei dirigenti, l’ottusa inflessibilità dei burocrati.

Egli non era tipo da arrendersi o da smontarsi di fronte all’insuccesso.

Fosse soltanto caparbietà, oppure la ferma convinzione delle proprie ragioni – o entrambe le cose – prima o dopo riusciva ad ottenere ciò che voleva.

La sua azienda, uscita dal guscio familiare e assunta una fisionomia da piccola industria, percepiva in maniera sempre più acuta le incertezze che la lambivano ed i rischi cui la esponeva la carenza legislativa. Intanto essa si era nuovamente trasferita ed allargata, dandosi strutture più moderne ed efficienti che le permettessero di soddisfare la crescita della domanda del mercato. Al suo interno altri avevano imparato il mestiere partendo dalla gavetta; poi si erano messi in proprio ritagliandosi uno spazio che allora non era difficile procurarsi. Roberto, per il quale ormai l’apicoltura e la gestione aziendale non avevano più segreti, spartiva il suo tempo tra la ricerca di soluzioni ai problemi della prima e le quotidiane incombenze della seconda.

Intorno alla metà degli anni 70, sotto la spinta di esigenze ancora insoddisfatte e di problemi insoluti, cominciò a prendere forma nella sua testa l’idea di una associazione tra apicoltori della zona. Era l’ovvia risposta al principio elementare che l’unione fa la forza, ma Roberto aveva anche la piena consapevolezza che tramite un’organizzazione del genere le strade per giungere allo scioglimento dei tanti nodi che imbrigliavano la sua categoria diventavano più agevolmente percorribili. E lui era ben deciso ad esplorarle tutte fino in fondo.

Così, il 13 di marzo del 1976, nacque l’A.S.G.A., ovvero l’Associazione Senese Grossetana Apicoltori. Detta così può sembrare la nascita spontanea di un organismo necessario la cui gestazione fosse già arrivata a maturazione. Ma questo parto non fu affatto un evento fisiologico e automatico. Tutt’altro. L’A.S.G.A., vera creatura di Roberto Franci, vide la luce per desiderio e volontà di costui, il quale seppe fargli da padre, da madre e da balia. Per arrivare alla sua costituzione Roberto dovette, come il suo solito e com’è nel destino di coloro che vedono un po’ più in là degli altri, spiegare, convincere, eliminare riluttanze e dubbi.

La sua fu un’instancabile opera di persuasione condotta minuziosamente ed egli non esitò ad andare a bussare casa per casa per perorarne la causa presso gli amici apicoltori. Varcò anche i confini della provincia e conquistò alla sua causa – che poi era la causa comune anche i più restii e refrattari, facendo loro intravedere la somma dei vantaggi che avrebbero potuto ottenere con una pressione esercitata da un fronte associazionistico.

I risultati alla fine vennero. Sull’atto costitutivo dell’A.S.G.A., registrato a Siena il 1° aprile ’76, figuravano quattordici associati: in cima all’elenco c’era suo padre Guido, all’ottavo posto lui, Roberto, giacché nel frattempo le aziende di famiglia erano diventate due. Gli altri apicoltori montalcinesi erano Giuseppe Batignani, l’amico Hubert Ciacci, che proprio dai Franci aveva appreso il mestiere, e il genero di Guido, Giuseppe Tassi, che da tempo si era messo in proprio. I rimanenti nove associati erano Angelo Pisani di Cinigiano, i grossetani Fideo Montomoli e Giacomo Pisani, Duilio Carmignani di Siena, Nicolino Caoduro di Orbetello, Elda Crepaldi (Sticciano Scalo), Ortenzio Albonetti (Paganico), Alvaro Franchi (Isola d’Arbia) e Ferruccio Carmignani (Monteroni d’Arbia).

Gli scopi primari dell’Associazione erano e sono sempre rimasti quelli per i quali Roberto ne aveva fortemente voluta la nascita. L’articolo 2 dello statuto, che stabilisce tali scopi e qui è impossibile non vedere la mano di Roberto, che più e meglio di ogni altro percepiva l’incombere di certi spettri metteva al primo posto « la tutela degli interessi generali tecnico-economici della apicoltura nei confronti di qualsiasi autorità, amministrazione, ente pubblico e privato ed organizzazione ».

Inoltre, come recitava testualmente lo stesso articolo alle lettere b), c) e d), gli altri fini che si proponeva l’A.S.G.A. erano «lo studio dei problemi tecnici ed economici dell’apicoltura di interesse generale e particolare», «l’assunzione per delega dello Stato dei compiti e delle funzioni relative alla difesa tecnica e alla tutela economica del settore» e, infine, «ogni altra azione diretta alla difesa, valorizzazione e potenziamento dell’attività apistica italiana».

Come si vede, le parole chiave erano «tutela» e «difesa», peraltro ripetute, nonché «interessi», «valorizzazione» e «potenziamento». Questi, infatti, erano i chiodi fissi nella mente di Roberto e con questi ha sempre convissuto.

Assunta, com’era prevedibile, la carica di presidente della «sua» Associazione, partì a testa bassa per sfondare quelle porte che si ostinavano a non aprirsi. Già in quello stesso anno l’A.S.G.A. organizzò il suo primo convegno sul tema «L’apicoltura quale attività economica e la sua importanza in agricoltura: difesa delle api e potenziamento dell’attività apistica». Furono coinvolti nell’avvenimento autorità politiche, organizzazioni agricole, esperti del settore, operatori economici ed altre associazioni. Roberto, che apri il convegno con una breve introduzione, mise subito il dito nella piaga toccando tre temi scottanti per la categoria: la difesa delle api dai trattamenti insetticidi, il controllo sanitario degli alveari e la necessità di scuole professionali. Considerava, a ragione, l’abuso delle sostanze chimiche antiparassitarie come il maggiore pericolo per il futuro dell’apicoltura e auspicava leggi più chiare e severe sul loro impiego ed una più rigorosa osservanza di quelle poche esistenti.

 

Estratto da: Roberto Franci – una vita per le api

Di Maurizio Centini